A partire dal 2000 – con la cosiddetta
strategia di Lisbona – l’Unione Europea si è impegnata in modo massiccio per passare da
una logica di apprezzamento e valorizzazione dei livelli di istruzione e formazione professionale
basata su criteri scolastici (un titolo o una qualifica equivalevano al possesso di un insieme di
conoscenze e di abilità riferite a un certo curriculum formativo) ad una basata sulla
certificazione e la valorizzazione delle competenze, intese come risultato di apprendimenti
(learning outcomes) che possono avvenire in varie forme, integrando formazione, esperienze di vita
e di lavoro (apprendimenti formali, non formali e informali). Questa rivoluzione – ancora in atto –
ha una certa importanza ai nostri fini, perché legittima chi si muove nel mondo del lavoro a
valorizzare ogni sua competenza, indipendentemente dal modo in cui l'ha acquisita. Inoltre, grazie
al principio della validazione degli apprendimenti informali e non formali, apre la possibilità di
accumulare le competenze acquisite in varie forme sino a conseguire qualifiche un tempo associabili
unicamente a percorsi formativi "formali", ovvero quelli che rilasciano un diploma riconosciuto.
L'Unione Europea si è mossa in questa direzione per due ragioni principali: per modernizzare
i sistemi di istruzione e formazione e renderli più vicini alla logica del mondo del lavoro (le
imprese ragionano in termini di competenze, ovvero considerano come sai agire in un posto di
lavoro), e per favorire la costruzione di un mercato unico europeo del lavoro (la mobilità del
lavoro richiede l’adozione di standard e strumenti che agevolino il dialogo tra i sistemi nazionali
di qualificazione). L’Unione Europea ha varato una serie di documenti importanti a supporto di
questa impostazione, parte dei quali vengono approfonditi in altre schede, perché risultano utili
nella costruzione di una candidatura: